Adam Żak, S.J.,
Contribuţia Bisericilor din estul Europei la viitorul Europei, in: Pax et
Unitas. Revistă Ecumenică iş de Dialog Interreligios, Nr. 2(2004), pp. 111-116.
IL
CONTRIBUTO DELLE CHIESE ESTEUROPEE AL
FUTURO DELL'EUROPA[1]
1.
Il compito
Mi
propongo di presentare alcune riflessioni sulla partecipazione delle chiese in
Europa Centro-Orientale ai processi spirituali rilevanti per il processo dell'integrazione
europea. Vorrei tentare di presentare soprattutto il contributo specifico e
significativo per il futuro dell'intero continente. Vorrei anche riflettere sui
compiti che aspettano le chiese/i cristiani in tutta l'Europa perché ciò che è
stato ed è significativo per il futuro dell'Europa e parte dall'Europa
Centro-Orientale arrivi ad avere l'influsso sperato. Mi interesserò soprattutto
alla dimensione teologico - culturale, quindi più ai processi significativi che
non ai singoli fatti o esperienze. Si tratterà dunque d'uno sguardo d'insieme,
senza entrare in troppi particolari specifici per le singole chiese e paesi.
Cercherò piuttosto di comprendere le grosse linee degli sviluppi, riflettendo
sui fatti più significativi. Questa riflessione avrà per forza il carattere
soggettivo, perché non sono un osservatore distanziato e non lo voglio
diventare. Mi considero un osservatore interessato a che il contributo
specifico dei cristiani dell'Europa Centro-Orientale possa liberare tutto il
suo influsso possibile. E non si tratta soltanto dell'influsso sulla parte
occidentale dell'Europa, ma anche sull'Europa Centro-Orientale, dove i
cristiani possono e devono sempre più profondamente ricevere l'impulso
proveniente dalla loro esperienza storica stessa.
2.
Il contributo specifico delle chiese esteuropee
Di
solito si pensa che il contributo specifico all'Europa delle chiese esteuropee
è stato possibile soltanto dopo la caduta del comunismo. Si suppone che la
dittatura del proletariato ha impedito - o quasi - ogni influsso più
significativo sui processi culturali e spirituali dell'Europa. Ciò può essere
in buona parte vero per alcuni processi culturali (anche in teologia) che sono
stati e sono di grande importanza per l'Europa e il mondo. Come esempio si può
considerare tutto il processo che ha portato al Concilio Vaticano II che in
parte era parallelo agli impulsi che sono sfociati nell'integrazione europea.
Con questo non voglio dire che il Concilio o le idee dell'integrazione sono
state importanti solo per l'Occidente. Se si volesse considerare i processi dai
quali Europa Centro-orientale è stata esclusa - o quasi esclusa - non si
renderebbe giustizia alla profondità dell'influsso che è uscito e continua a
uscire da qui.
I processi importanti per l'integrazione dell'continente sono in buona parte basati su esperienze che anche l'Europa Centro-Orientale ha fatto: nel secolo ventesimo si tratta di due guerre mondiali. Però l'Europa Centro-Orientale ha fatto esperienze a cui l'Occidente non ha partecipato.
L'Occidente
raramente si rende conto del fatto che p. es. nei vasti territori
dell'ex-Unione Sovietica e nei paesi da essa dominati dopo il 1945, le
conseguenze della prima e della seconda guerra mondiale finivano solo con la
caduta del comunismo - nel 1989/90. La prima e la seconda guerra erano per
l'est-europeo l'inizio di una catena di terribili esperienze. Le ha iniziato la
rivoluzione d'ottobre nel lontano 1917. Le ha continuato
"l'esportazione" della rivoluzione dopo il 1945.
Per
la nostra parte dell'Europa vale in particolare ciò che il Papa ha affermato
nella sua lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente, che il secolo
ventesimo era per i cristiani e per le chiese soprattutto il secolo del
martirio. Questa testimonianza non deve essere dimenticata, anzi deve venir
portata alla conoscenza del mondo e deve portare frutto. Martiri sono la
semente dei credenti. E non si tratta di ricordare il martirio in una sorte
d'esibizione della sofferenza subita per cercare d'ottenere la compassione, ma
si tratta di far fruttificare l'esperienza del martirio, scoprendo l'opera
della grazia nella storia.
Teologicamente
parlando il martirio dei credenti di ambedue tradizioni, orientale e
occidentale, ripetutosi innumerevoli volte è il più importante contributo al
futuro dell'Europa, al futuro della fede, al futuro dell'ecumenismo.
L'ecumenismo del martirio ha preceduto l'ecumenismo dei gesti!
In
quasi tutta la regione il cristianesimo progressivamente diventava una fonte
inesauribile di forza per una sempre più consapevole resistenza
all'ingiustizia. Con il tempo questa resistenza ha contribuito al crollo del
comunismo.
Se
cerchiamo i punti di riferimento per interpretare teologicamente il crollo del
comunismo, li troviamo nella storia d'Israele: la liberazione dalla schiavitù
dell'Egitto. La liturgia romano-cattolica della veglia pasquale con le sue
letture sul passaggio d'Israele attraverso il Mare Rosso (Esodo 14, 15 - 15, 1
con il susseguente cantico 15, 1-7. 17-18) diventa - almeno nella chiesa latina
- quel punto di riferimento nel quale tutta la recente storia può essere
vissuta e interpretata come storia della salvezza. Questa elaborazione
interpretativa in base alla liturgia e estremamente importante in quanto la
vita sotto la dittatura in molti modi è stata segnata e ferita dall'esperienza
del male. Sembrava - e qui stava la forza della tentazione contro la fede - che
il male ha riportato la vittoria. L'esperienza del male subito continua a
esercitare la sua forza e deve essere contrastata dall'esperienza di grazia. Il
comunismo è finito, la tentazione di pensare alla vittoria del male in mezzo
alla confusione del tempo presente è rimasta. La vittoria sul male, vissuta
storicamente e interpretata teologicamente in chiave della salvezza operata da
Dio è molto importante per rafforzare la speranza. Ritornare all'esperienza del
martirio è importante per scoprire l'opera della grazia nella storia.
Nel
confronto con il comunismo il cristianesimo ha svolto il suo ruolo attingendo
alla sua stessa sorgente, a ciò che lo anima, che ne costituisce l'essenza:
dalla vittoria di Cristo sul male. Questo vuol dire che la forza dei cristiani
non era la mera negazione dell'ideologia imposta presa in prestito da
argomentazioni di qualche corrente culturale di pensiero o da qualche movimento
politico anticomunista. Nella forza dei martiri s'è manifestata la sua forza
originale. A partire da questa forza il cristianesimo ispirava la speranza,
rafforzava la consapevolezza della dignità dell'uomo e dei diritti umani; ha
confutato il carattere assoluto dell'ideologia comunista con argomenti; ha
anche assicurato il senso d'appartenenza alla comunità di valori che
costituiscono la forza unificatrice del continente europeo. Il cristianesimo è
stato la voce di chi era privato di elementari diritti, forza dei martiri e dei
confessori. Esso ha difeso la libertà e la giustizia. Anzi, ha donato la
libertà di perdonare ai nemici, di rinunciare alla vendetta, di donare la
propria vita per gli altri. E in questo senso operava la liberazione molto
prima ancora che i prigionieri hanno potuto uscire dall'arcipelago gulag - lo
faceva dentro, come lo testimonia lo straordinario romanzo di Solzenicyn
"Una giornata di Ivan Denisovich"
Potremmo
continuare per allungare ed approfondire questo elenco. Ma non si tratta di
elencare. Importante è qualcosa altro, qualcosa che non deve venir dimenticato
in mezzo alle difficoltà che i cristiani stanno vivendo dopo la caduta del
comunismo. La libertà non rende felice nessuno automaticamente. Per molti la
libertà può essere una parola vuota, perché invece del lavoro da il passaporto,
facendo della gente radicata mendicanti e vagabondi nel mondo. Non c'è alcun
dubbio che nella resistenza contro la pretesa totalitaria del comunismo la
fonte principale di forza non è stata la negazione. È importante non
dimenticarlo per non cadere nella tentazione di cominciare a pensare che ora la
negazione fosse il nostro compito più importante. Per noi stessi dovrebbe
diventare un punto fermo: cristianesimo non è una forza negativa, "reazionaria",
ma è una forza salvifica, che infonde speranza.
L'approfondimento
di questo punto dovrebbe avvenire in modo tale che i liberali eredi della
rivoluzione francese vengano aiutati nella revisione del loro giudizio negativo
sul ruolo del cristianesimo nella storia europea. Esso dovrebbe anche
costituire un punto di riferimento per noi per la comprensione del nostro ruolo
come credenti nel mondo attuale. L'approfondimento che si rende necessario è un
lavoro culturale per pensatori e artisti, teologi e pastori, per le comunità
ecclesiali e per le università. Il martirio dei nostri fratelli e sorelle nella
fede ci pone come credenti di fronte a una esigenza fondamentale: far emergere
la fede cristiana come forza positiva che non condanna ma salva, che non è voce
di sventura ma di speranza, che aiuta a leggere l'opera della grazia in mezzo
alla storia. Questo lo dobbiamo, se vogliamo essere fedeli all'eredità dei
nostri martiri.
Stiamo
rispondendo a questa esigenza nelle condizioni della società postcomunista -
pluralista, democratica, relativista ecc?
Non
ci sono risposte semplici.
3.
La virtù sotto pressione
La
categoria della pressione descrive bene la situazione dei cristiani in
Europa Centro-Orientale. Il cristiano qui vive sotto una triplice pressione.
a. Pressione del passato
Il passato mette i
cristiani dell'Est sotto pressione. In un certo senso, lo stesso ideale vissuto
dai martiri ci mette sotto pressione, anche se questa pressione è positiva e ci
difende dalla mediocrità. C'è anche una pressione negativa. Essa proviene non
solo da un passato lontano (crociate, inquisizione....), ma anche da un passato
recente che ci emargina, che ci mette in una posizione scomoda in un angolo -
culturalmente, politicamente, economicamente e anche (purtroppo)
religiosamente. Ci sentiamo come se ci dovessimo giustificare di non essere
abbastanza avanti, non abbastanza aggiornati. Usiamo dei linguaggi che il mondo
non capisce. Ci mancano strumenti per far capire la nostra esperienza. Ci sentiamo
incompresi, quasi giudicati. Quest'esperienza è veramente pesante per molti.
Contro questa pressione molti reagiscono con meccanismi di difesa, con
complessi d'inferiorità nascosti dietro apparenti certezze del fondamentalismo
o nazionalismo.
b. Pressione del presente
Gemiamo sotto i pesi del
presente. La modernizzazione delle nostre società e la trasformazione economica
ed istituzionale sono estremamente complicate e impongono pesi che non eravamo
abituati a portare. Uno dei pesi più sorprendenti da portare è la percezione
della realtà stessa che si presenta più complessa di quanto poteva sembrare.
Basti pensare alle relazioni di proprietà nell'economia che diventa sempre più
globalizzata. Non ci siamo accorti che la censura ci ha abituato a un mondo
fatto di menzogne in quanto ha escluso dalla percezione intere aree della
realtà e di illusioni in quanto nutriva il nostro orgoglio di surrogati di
successo. Anche le virtù di ieri non hanno la stessa importanza oggi. Si
osserva un paradosso: le virtù che hanno aiutato a resistere, si dimostrano -
sotto nuove condizioni - quasi un ostacolo sia nel ritrovare la propria
identità e il proprio ruolo, sia nella ricerca della nuova relazione verso il
mondo, verso la cultura, verso la società, verso le altre chiese cristiane. Il
rapporto tra la lealtà e la creatività p. es. si presenta molto differente oggi
da come era necessario ieri. L'alleato di ieri è diventato concorrente di oggi.
Sotto la pressione della complessità difficile da percepire e comprendere viene
la nostalgia di un mondo semplice. Si fa strada una pericolosa mitologizzazione
del passato. Le "cipolle" della schiavitù sembrano più attraenti
della terra promessa della libertà a lungo sognata.
c. Pressione del futuro
Ci sentiamo minacciati
dal futuro. Con le difficoltà sperimentate al presente torna la tentazione di
pensare le forze del male come determinanti per il decorso della storia. Questa
tentazione suggerisce che il futuro appartiene al male, che ci minaccia da
tutte le parti e sembra organizzarsi nel nascosto più potente che mai. La forza
di questa tentazione è favorita dalla diffidenza e dall'abitudine di sospettare
gli uni gli altri lasciataci in eredità dal comunismo. È difficile credere che
possiamo avere qualche influsso sul futuro. La Provvidenza sembra svuotata
d'ogni significato e assomiglia più al fatum a cui non si può scappare.
È una
situazione complicata non solo psicologicamente. Sotto condizioni così fortemente
mutate è difficile curare la cultura del dialogo, promuovere la
riconciliazione, adempiere a quelli obblighi che sono stati sottoscritti il 22
aprile 2001 dalle Chiese europee nella Charta Oecumenica.
La
virtù s'è trovata sotto pressione!
4.
Che cosa bisogna fare?
Non è
facile far valere il contributo dei cristiani dell'Europa postcomunista al
futuro d'Europa. Ci rendiamo conto che ai nostri confratelli e consorelle nella
fede in Occidente non è facile comprendere l'esperienza che viviamo. Loro sembrano
avere altre preoccupazioni. Sono circondati dall'indifferenza da molto tempo. A
noi non è facile capire l'esperienza delle altre chiese. Occorre molta
pazienza. Mentalità e abitudini mentali cambiano molto lentamente. Perciò
particolarmente importante è mediazione in ambedue direzioni.
Bisogna
che ci poniamo e ci lasciamo porre delle domande: Come si può far fruttificare
la nostra specifica esperienza storica per la formazione della nuova
consapevolezza cristiana in Europa che si sta integrando come mercato e come
spazio culturale? Cosa dobbiamo fare, perché il nostro contributo più
importante al comune futuro veramente sviluppi il suo influsso sul futuro
d'Europa?
Queste
e altre domande possono essere risposte solo in maniera ecumenica. Altrimenti
non saremo credibili in un Europa che è divenuta sospettosa verso il
cristianesimo tra l'altro a causa delle tragiche divisioni avvenute nella
storia.
Le
risposte vanno cercate in una maniera dialogica, in una mediazione. Il dialogo
non preme nessuno in un angolo. Dialogo fa sorgere la comprensione. Dialogo
aiuta a formulare la propria esperienza in parole comprensibili agli altri,
parole che non feriscono, ma fanno guarire.
È
l'ora dei mediatori non di estremisti.
[1] Testo della
conferenza tenuta il 2 aprile 2004 nel
Centro Culturale dei Gesuiti "Xaverianum" a Iaşi.