Adam Żak, S.J., Fede e giustizia. Contributo polacco alla storia di una congiunzione, w: Rassegna di Teologia 31(1990)6, s. 535-547


 

1. Osservazioni preliminarie

Si riconosce comunemente il fatto che la fede cristiana - con tutto ciò che essa include - ha avuto un forte influsso sulla perseverante lotta dei polacchi per la libertà e per la giustizia. Questo influsso era talmente forte che, agli occhi di un osservatore occidentale, molti svilup­pi potevano appa­rire come una sorte di integrismo. Cosi p. es. quando nel 1981 si parlò di un senz'altro possibile intervento milita­re so­vietico alcuni giornali italiani sostenevano con molta serie­tà l'opinione secondo cui il Santo Padre stesse pensando a lasciare Roma per mettersi a capo di un'insurrezione nazio­na­le. I comunisti polacchi da parte loro osservavano con in­quie­tudine gli sviluppi della situazione in Iran di Komeini. L'immagine esteriore degli scioperi a Danzica e altrove era dominata dai simboli religiosi. Negli anni successivi allo stato di guerra i proibiti simboli di *Solidarnosc+ compari­vano con molta naturalezza e senza scandalizare nessuno in Polonia durante grandi raduni religiosi a Czestochowa e al­trove. In una o l'altra maniera la lotta per la giustizia e la manifestazione esteriore della fede appariva­no agli occhi degli osservatori come una unità vissuta. Da un lato la fede sosteneva la lotta per la giustizia e l'ispirava e dall'altro la lotta per la giustizia era come una testimonianza di fede.

Lo stesso tentativo intrapreso con tutti i mezzi di im­por­re l'ateismo alla società polacca fu percepito come un'ingiu­sti­zia. Questo ha senz'altro contribuito a che la difesa della fede diventasse una lotta per la giustizia e la lotta per i diritti della Chiesa una lotta per i diritti umani. I mezzi di lotta che i cristiani potevano adottare erano per lo più tradizionali mezzi spirituali della trasmissione della fede, della pietà popolare come il rosario, pellegrinaggi, proces­sioni ecc. Tutto ciò avveniva mentre il paese per decenni - fino alla fine degli anni sessanta - era quasi completamente isolato dal mondo esterno. La lotta per la fede e per la giustizia non si limitava all'autodifesa dei creden­ti. Questa lotta è stata sempre, più o meno consapevolmente una lotta per i diritti di altre vit­time dell'ingiustizia.

L'opinione pubblica occidentale ha in diversi periodi o misconosciuto questa esperienza oppure l'ha strumentalizzata politicamente come p. es. durante gli anni di guerra fredda. Così questa esperienza della chiesa, ca­rat­teristica per tutta l'Europa orientale non ha potuto essere portata alla coscien­za del mondo. Dal canto suo i cristiani dell'Ostblock non erano in grado di capire il fascino che il marxismo ha erser­citato in Occidente e in America Latina. Quando i contatti sono stati ristabiliti sorse una reciproca diffidenza: i cristiani dell'Europa orientale erano conside­rati dai loro confratelli in Occidente e in America Latina come reazionari o per lo meno come non sufficientemente avan­zati, e viceversa agli occhi dei cristiani dell'Ostblock le simpatie filocomu­niste in Occidente apparvero come pericolose se non del tutto irresponsabili. Questa diffidenza influì tra l'altro sulla reciproca percezione dei rispettivi sviluppi nel periodo postconciliare.

Queste osservazioni generali sembrano necessarie se si vuole rendere giustizia all'esperienza dei cristiani nei paesi dell'Est e valutare senza pregiudizi il loro contribu­to originale all'autocomprensione del Cristianesimo nel mondo contemporaneo.

 

2. L'ingiustizia sopportata


Senza voler presentare la storia della chiesa in Polonia dopo l'ultima guerra fino ad oggi, si deve però tener pre­senti alcuni momenti essenziali di questa storia, per com­prendere meglio la strada fatta e la situazione presente.

Il sistema comunista su modello di quello sovietico non fu introdotto in Polonia d'un colpo, benché i comunisti subito dopo l'entrata dell'armata rossa hanno presentato la propria pretesa a governare il paese. L'hanno fatto con il Manifesto di Lublino del 22 luglio 1944. Nel giro di 10 mesi da questa data l'intero paese nelle sue attuali frontiere si trovò sotto il controllo politico-militare dell'Unione Sovietica. Ciò non significava però un'automatico trasferimento in Po­lonia del modello dello stato stalinista. Lo stato polacco che si organizzava sotto il controllo dei comunisti si rial­lacciò dapprima alla costituzione e alla legislazione del periodo prima di guerra. Anche la chiesa indebolita durante l'occupazione nazista si è rifatta alla sua esperienza e al suo stile di lavoro e di presenza del ventennio tra le due guerre. Essa però è stata subito confrontata con nuovi pro­blemi. Uno dei compiti principali della chiesa era l'organiz­zazione del lavoro pastorale nei territori che prima apparte­nevano alla Germania, dove hanno trovato dimora milioni di polacchi trasferiti dalle terre che ormai facevano parte dell'impero sovietico. Già nel settembre del 1945 fu uni­lateral­mente rotto il concordato. Ciò diede alla chiesa una maggiore libertà p. es. nel nominare i vescovi. Così ha potu­to venir nominato senza approvazione da parte dello stato il futuro primate Stefano Wyszynski. L'insegnamento della re­li­gione continuò dapprima nelle scuole. Una certa parvenza di norma­lità non durò molto.

Dopo 1948 la situazione è completamente cambiata. Ebbe luogo "accelerazione" stalinista. La chiesa divenne l'oggetto di un attacco frontale che si indirizzò anche contro il mondo della cultura e contro i contadini in quanto privati proprie­tari di mezzi di produzione. La Chiesa venne attaccata non solo perché come forza ben oraganizzata poteva opporsi al sorgere di un monopolio ideologico ma soprattutto perché in essa s'incarnava tutta la tradizione culturale della Polonia. Il terrore iniziato a partire dal 48 ha sopravissuto il suo ideatore Stalin (+1953) e durò fino all'ottobre del 1956. Tutte organizzazioni e associazioni cattoliche furono sciol­te; molti sacerdoti e religiosi finirono in prigione; vennero organizzati processi anche ai vescovi; lo stato si usurpava il diritto di decidere in questioni canoniche...

La lista dei soprusi sofferti potrebbe essere molto lunga.

Fino a pochi anni fa i comunisti si sono distanziati da tutto questo solo in maniera molto ambigua. Ancora nel 1986 Z. Kawecki[1] scrivendo sulla politica dello stato verso le confessioni religiose scorgeva nel periodo stalinista sol­tanto *una tendenza ad accelerare troppo i processi di cam­biamento senza tener conto dell'attuale stato di coscienza sociale+. La direzione di marcia e i principi erano di per se giusti, soltanto *l'accelerazione+[2] era troppo violenta! Officialmente si ripeteva la tesi sugli immutati principi della politica dello stato riguardo alle confessioni religio­se.


La pretesa dello stato di controllare non solo l'economia e l'amministrazione ma anche l'anima e la coscienza del po­po­lo durò fino a quando i comunisti furono al potere. La reli­gione doveva esserer sostituita dalla *Weltanschauung scien­tifica+. Prima che ciò avvenisse si cercò con tutti i mezzi a disposizione dello stato totalitario di farla limitare alla sfera strettamente privata. Questa conseguente privatizzazio­ne della religione influiva in maniera decisiva su come la chiesa in Polonia comprendeva e realizzava i suoi compiti pastorali. L'oggetto della sua particolare cura divenne la giovane generazione. Lo scopo dichiarato del partito comu­nista era l'eliminazione dell'influsso della chiesa sui giovani. Perciò il settore in cui gli impedimenti erano più grandi era quello della pastorale giovanile. Il cristianesimo doveva apparire ai giovani come un rimasullo del Medioevo. La censura ha impedito con l'efficienza che qualsiasi realtà ispi­rantesi al cristianesimo potesse apparire come moderna o pro­gressiva. Tutto ciò che si qualificava come cattolico o cris­tiano doveva apparire come reazionario e già di per se su­pe­rato. Nella giovane genera­zione dei cristiani doveva sorgere un complesso di inferiori­tà culturale. Questa mi sembra anche la ragione che spiega perché è stato scelto il neotomismo con le sue radici medievali come il bersaglio preferito. La fe­con­dità culturale e la vitalità del cristia­nesimo nel mondo contemporaneo erano condannate all'inesis­tenza.

Accanto al tentativo di circoscrivere il cristianesimo alla sfera privata vi era una tendenza alla nazionalizzazione (statalizzazione) della chiesa. La chiesa doveva essere staccata da Roma e sottomessa al partito come suo strumento. A questo scopo veniva favorita una chiesa nazional-cattolica. Si tentava inoltre di isolare i vescovi dal clero e dalla base, e di impedire i normali contatti con la Santa Sede che a sua volta veniva attaccata per diversi motivi dalla pro­pa­ganda. Anche gli ordini religiosi erano sottoposti al simile trattamento. Dell'isolamento hanno risentito pariticolarmen­te gli studi e le missioni. La chiesa in Polonia doveva venir alienata dall'esperienza della chiesa universale.

Per portare avanti la nazionalizzazione della chiesa veni­vano favorite alcune organizzazioni di laici e di sacerdoti concessionate e controllate dallo stato. Tutto ciò, insieme al permanente controllo sulle attività della chiesa con con­temporanea intimidazione dei laici ha portato ad una relati­va­mente forte clericalizzazione della chiesa ed ha fortemente condizionato il suo sviluppo interno in ogni senso.

La lotta per il riconoscimento dell'autonomia della chiesa cattolica dallo stato si è conclusa soltanto con il regola­mento del suo stato giuridico nel maggio 1989. Questo re­go­lamento raggiunto alla vigilia delle prime elezioni con la partecipazione di *Solidarnosc+ sembra già superato in alcuni punti dai successivi sviluppi politici.

Tutto sommato si può dire che i comunisti non hanno rag­giunto gli scopi che si sono prefissi. Ciò nonostante la loro opera non rimase senza riflessi positivi o negativi che siano. Alcuni dei riflessi negativi meritano di essere almeno elencati. Non bisogna dimenticare che le conseguenze negative che stiamo per elencare vanno ad aggiungersi a quelle già subite durante l'occupazione nazista del paese.

In primo luogo si deve notare un certo isolamento dagli sviluppi avuti nella chiesa universale di cui ha sofferto tra l'altro anche il livello degli studi e conseguentemente della formazione intellettuale del clero. La pressione ester­na esercitata sulla chiesa ha portato al trascuramento dela riflessione sui problemi interni della riforma della chiesa. Venne favorita così la mentalità della fortezza circondata. Si percepisce anche una mancanza di idee su come affrontare pastoralmente i problemi del futuro. Dall'altro lato si sente una nostalgia del passato e l'incomprensione per gli sviluppi e le esperienze della chiesa postconciliare. Questa incom­prensione viene favorita dalle debolezze di una teologia per niente originale e dai ritardi nella recezione del Concilio. La vita associativa dei cattolici esce dall'esperienza del comunismo totalitario completamente sottosviluppata.

Questa immagine negativa sarebbe ingiusta se non aggiun­gessimo subito che molte delle ripercussioni qui menzionate non erano affatto da evitare.

 

3. Una congiunzione vissuta


La congiunzione della fede e della giustizia si realizzava in circostanze storiche e sotto condizioni che abbiamo cerca­to di inquadrare. Essa si realizzava però come una congiun­zione vissuta e non come una congiunzione filosofica­mente o teologicamente riflettuta. Nel periodo preconciliare essa veniva espressa in un linguaggio di una tradizionale ascetica cioè in un'ottica della buona azione individuale o comunita­ria, non invece in una logica che tenga conto del carattere strutturale delle sfide e perciò non si propone una difesa verbale dei diritti calpestati ma piùttosto una tale risposta alla richiesta di giustizia che impegni tutte le forze e le capacità della chiesa per la promozione di un giusto ordine sociale. Un tale impegno supporrebbe p. es. che si prenda in considerazione come l'unione al sistema economico occidentale significhi anche di fatto l'appoggio alle strutture mondiali di ingiustizia.

Quale era il modello polacco della congiunzione tra la fede e la giustizia?

Questo modello era determinato dalle condizioni politiche in cui la chiesa doveva adempiere alla sua missione. E' decisivo il fatto che la chiesa stessa è stata colpita dall'­ingiustizia. In questa maniera essa ha partecipato pienamente alla sorte del popolo che nella sua stragrande maggioranza si dichiara cattolico. La chiesa ha cercato innanzitutto di trasformare l'ingiustizia subita in una virtù di solidarietà con la gente.

In questo senso i vescovi in una lettera del 4 settembre 1960 ai sacerdoti[3] alla luce del messaggio pasquale sottoli­neavano *gli elementi positivi dell'oppressione della chie­sa+. I vescovi chiedevano ai sacerdoti di conservare e di rafforzare *ad ogni costo+ i legami con *il popolo credente+. Essi ricordavano l'esperienza storica della chiesa in Polonia secondo cui i sacerdoti *erano non solo pastori, ma spesso anche curatori e difensori degli oppressi+. La difesa della *cosa sociale+ basata sulla fede doveva esprimersi secondo i vescovi nelle *inveterate virtù+ come moderazione nel chiede­re i soldi per il servizio religioso, rispetto della dignità dei laici che dovrebbero essere trattati *come adulti e non come bambini+, e mitezza nell'ammonire. Una tale visione ascetica della difesa della *cosa sociale+ porta i vescovi a invitare i sacerdoti *di restare all'altare  proclamando la parola (...) e svolgendo i compiti puramente sacerdotali+. Ai vescovi importa soprattutto che il sacerdote polacco non perda la fiducia e la stima dei credenti. La difesa della *cosa sociale+ così concepita costituiva un programma pedago­gico condizionato dalla situazione in cui la chiesa ebbe a svolgere la sua missione. Questo programma non aveva il carattere di una consapevole promozione della giustizia come la intendono i documenti che poco dopo la chiesa avrebbe promulgato. La comprensione del ruolo del clero non è sostan­zialmente cambiata fino ad oggi anche se è cambiata l'ottica in cui viene compresa la *cosa sociale+.

Ciò non significa che l'episcopato polacco non abbia inteso un pò più largamente il proprio ruolo nella società. Esso ha sempre preso parola in questioni di vitale importanza diventando cosi portavoce della nazione, evitando però che le sue prese di posizione creino o aumentino le tensioni socia­li. Contemporaneamente l'episcopato ha portato pure avanti una silenziosa diplomazia con lo stato. Lo scopo di questi sforzi era dapprima il raggiungimento delle più giuste condi­zioni di lavoro per la chiesa stessa e poi la difesa dei diritti civili ed umani.


L'andar oltre la rivendicazione dei diritti della chiesa e l'introduzione nell'insegnamento dei vescovi della vasta problematica dei diritti umani e civili costituiscono il cambiamento più significativo nella comprensione della con­giunzione tra la fede e la giustizia. I diritti della chiesa verranno ormai compresi come parte degli irrinunciabi­li, naturali diritti umani. Questo importante e ricco di conse­guenze allargamento dell'orizzonte di comprensione era chia­ramente dovuto alla recezione dell'enciclica *Pacem in ter­ris+ di Giovanni XXIII e del Concilio. Col tempo, questo cambiamento divenuto sempre più credibile ha portato in alcuni ambienti al superamento dei tradizionali pregiudizi e sospetti secondo cui la chiesa si limiterebbe a rivendicare soltanto la posizione di privilegio per se stessa. Questo ha aperto la strada ad una "coalizione strategica" tra i catto­lici impegnati e la sinistra liberale non marxista. La visio­ne ascetica del ruolo del clero resta sostanzialmente immuta­ta. I vescovi comunicano però ai sacerdoti la loro allargata visione della realtà sociale e formulano in un linguaggio in parte rinnovato le sfide che risultano dalla situazione socio-politica.

In un ampia lettera ai sacerdoti del 28 agosto 1963[4] i vescovi rilevano il fatto che *alcuni attivisti del partito, che affermano di rappresentare gli interessi della classe operaia non si curano per niente del bene del operaio e del contadino; l'ammontare della paga di un operaio e il livello di vita della sua familia non li occupano affatto+. I vescovi avendo davanti agli occhi l'ideale della *democrazia economi­ca+ mostrano inquietudine per *il sorgere di una nuova clas­se+ di privilegiati. Questa e altre preoccupazioni vengono manifestate di per se soltanto davanti ai sacerdoti. I vesco­vi non vogliono sfruttare l'insoddisfazione *dei semplici uomini di lavoro+ per suscitare *una resistenza contro il potere dello stato+. La motivazione della loro lettera è seguente: *Noi desideriamo (...) che voi [cioè sacerdoti - nota dell'autore] partecipiate alla nostra preoccupazione per l'autentico benessere nel nostro paese, per il rispetto dei personali diritti di ciascun cittadino perché questi diritti costituiscono il bene più prezioso in una comunità statale. In questo si esprime la preoccupazione  per le giuste condi­zioni di sviluppo di ogni cittadino.+ Il lavoro pastorale dovrebbe perciò *sviluppare le nostre virtù sociali e render­ci sensibili all'ingiustizia sociale qualsiasi essa sia+. Questa auspicata sensibilità sociale del clero  dovrebbe esprimersi in un moderato stile di vita conforme a quello del paese. Dal nostro punto di vista appare molto interessante il fatto che i vescovi nella loro argumentazione si rifanno nello stesso tempo al Vangelo e alla *Dichiarazione universa­le dei diritti umani+. In questo modo l'ingiustizia che determina le dimensioni della questione sociale in Polonia viene collegata alla problemati­ca universale e l'aspirazione al suo superamento viene motivato attraverso il ricorso ad un sistema di valori universalmente riconosciuto.


La comunanza di destini della chiesa e del popolo realiz­zatasi nel corso dei cambiamenti politici non deve essere più vista soltanto come un'ingiustizia da sopportare con lo spirito cristiano, ma anche come una possibilità per il superamento della tentazione al triumfalismo e per la testi­mo­nianza al Figlio dell'Uomo *che è venuto soprat­tutto ai poveri ed ai bisognosi+. La chiesa dovrebbe imitare il suo Signore e Maestro e perciò i vescovi scrivono di se stessi e del clero: *Dobbiamo servire all'uomo ed alla nazione, servi­re con il nostro lavoro, con le nostre forze, con la nostra preghiera, con il buon esempio e con quel resto del nostro possesso che non ci è stato ancora tolto. Dobbiamo servire innanzittutto ai piccoli e ai più bisognosi, cioè non solo ai bambini, ma anche ai malati, ai vecchi, ai poveri e a quelli che guadagnano poco, che però - nonostante tutto - costituis­cono un'enorme parte del popolo.+ Questa opzione per i poveri è unita ad una chiara rinuncia a fare da *sostegno dei troni+ ed a *bagnarsi nel loro splendore+ il che *può darsi+ succe­deva nel passato. Questa opzione deve esprimersi in una vita all'insegna *della più stretta unione con il popolo da cui proveniamo e con cui vogliamo camminare insieme verso un migliore futuro materiale e verso la redenzione eterna+. Ciò che i vescovi chiedono qui a se stessi e ai sacerdoti non è la proclamazione di una dottrina sociale ma piùttosto uno stile di vita solidale con i poveri.

Le citazioni presentate qui mostrano il cambiamento della comprensione della congiunzione tra la fede e la giustizia realizzatosi sotto l'influsso dell'enciclica di Papa Giovanni e del Concilio. Questa comprensione non scaturisce dalle analisi teoretiche, ma dall'esperienza della comunanza dei destini nell'ingiustizia subita e resta sempre riferita alla prassi della vita. Si noti che a differenza dell'America Latina la comunanza dei destini con il popolo oppresso non è lo scopo ma piuttosto il punto di partenza degli sforzi della chiesa. In America Latina si tratta - come sembra - tra l'altro di rendere credibile la chiesa davanti ai poveri per camminare con essi verso una vita più degna sulla terra e verso la vita eterna. In Polonia invece si tratta di far fruttificare per il futuro sulla terra e in cielo una provvi­denziale comunanza di destino realizzatasi di fatto. Dal nostro punto di vista è importante notare che il servizio al popolo secondo l'esempio di Cristo si congiunge con la difesa della giustizia, della libertà e della dignità di questo popolo anche in un settore cosi secolare come p. es. l'econo­mia.

E' difficile dire fino a che punto questa direttrice è stata assimilata dal clero polacco. Certo, ci siamo disabi­tuati dal pensare autonomamente in questioni politiche più generali. Ciò era riservato in qualche modo all'episcopato. Ad ogni modo è molto caratteristico che il primo viaggio di Giovanni Paolo II in Polonia che tra i laici ha incoraggiato un movimento di liberazione, ha fatto immergere il clero in una compiaciuta autosoddisfazione.

 

4. Le tappe dell'esperienza di congiunzione

Fuori della Polonia la grande problematica della congiun­zione della fede con la giustizia è uscita in primo piano negli anni settanta. Lo confermano in maniera molto signifi­cativa i sinodi dei vescovi del 1971 e del 1974, la Congrega­zione XXXII dei gesuiti con il suo *Decreto Quarto+, lo sviluppo della teologia della liberazione, la ricerca di una più autentica presenza dei cristiani in Europa dopo la crisi del 68 - per menzionare solo alcune cose. La discussione sulla congiunzione tra fede e giustizia era accompagnata e forse anche sovraccaricata da una polemica riguardante l'uso delle categorie marxiste nell'anlisi della situazione d'in­giustizia sociale nel mondo. Per questo motivo in Polonia si ebbe una certa diffidenza verso le discussioni occidentali e un atteggiamento di difesa verso i risultati raggiunti nella chiesa universale manipolati del resto volentieri dalla propaganda.  Dell'esperienza polacca faceva parte l'abuso ideologico dell'idea della giustizia monopolizzata dai comu­nisti. Una discussione su questi argomenti nella chiesa polacca non c'è stata e forse non sarebbe neanche stata possibile. La fede e la lotta per la giustizia erano di fatto congiute ma negli anni 70 l'accento veniva ancora posto sulle grandi azioni dell'annuncio della fede cui scopo era il rafforzamento della speranza di un futur più giusto che per il momento non era neanche immaginabile. Al futuro si pensava piuttosto in termini patriotici.

Nei 16 mesi di *Solidarnosc+, cioè dopo l'agosto 1980 fino al dicembre 1981, sotto la pressione dgli eventi è stata scoperta la grande problematica della giustizia sociale. La vita ha preceduto la recezione dei documenti ecclesiali. L'appoggio alla richiesta di giustizia sociale salita dalle fabbriche è spontaneo e generale. Questo appoggio è stato motivato piuttosto dalla solidarietà della chiesa con la nazione e dal desiderio di liberarsi dal regime totalitario e non tanto dalla speranza cristiana.


Gli anni della legge marziale e dopo, hanno portato ad una certa politicizzazione della predicazione. Venivano tematiz­zati espressamente i grandi temi di giustizia sociale in un'ottica di rivendicazione dei diritti umani e civili. Tra i sacerdoti prevale l'atteggiamento d'opposizione contro il sistema e la solidarietà pratica con i perseguitati. Dopo la sospensione dello stato di guerra la solidarietà diventa piuttosto verbale. Si notano delle precauzioni ambigue moti­vate dalla voglia di evitare lo scontro frontale con lo stato, anche per non mettere in pericolo alcune facilitazioni ottenute, p. es. nelle costruzioni di chiese.

Le encicliche sociali *Laborem exercens+ e *Sollicitudo rei socialis+ insieme alle due visite pontificie hanno raf­forzato la volontà della difesa dei diritti umani e civili. Lo stile di vita dei sacerdoti generalmente non viene toccato dalla crisi economica. Si ha un boom dell'edi­lizia sacrale. Si crede di dover sfruttare le possibilità esistenti in quanto le concessioni potrebbero venir ritirate. Manca una riflessione sulle future forme dell'ordine sociale. Nessuno pensa alla possibilità dell'abdicazione dei comunisti anche se tutti la desiderano.

Da questo punto di vista non sono i negoziati della *tavola rotonda+ a costituire una cesura ma piuttosto la campagna elettorale e la consecutiva vittoria di comitati civici legati a *Solidarnosc+. Fino alle elezioni tutto era ancora chiaro. Dopo le elezioni e in particolare dopo la formazione del governo da parte di T. Mazowiecki cambia letteralmente tutto. La congiunzione tra la fede e la lotta per la giusti­zia diventa di nuovo attuale, ma in maniera completa­mente diversa! Il vecchio sistema si sgretola molto veloce­mente. Perciò il modo di realizzare la congiunzione della fede e della giustizia nei temi di diritti umani in quanto condizio­nato da questo sistema diventa in parte poco attuale. La realizzazione della congiunzione richiede ora qualcosa di nuovo.

 

5. I compiti per il futuro

Nei limiti di questo articolo i compiti per il futuro possono essere soltanto abbozzati.

La nuova situazione politica e sociale mette a nudo un fenomeno noto ai sociologi della religione. Si tratta della discrepanza tra l'identificazione della maggioranza dei polacchi con *la fede della nazione+ e la gerarchia dei valori praticata realmente nelle scelte della vita quotidia­na. L'identificazione con *la fede della nazione+ lascia poco spazio per una riflessione e per una scelta personale della fede. Una credibile realizzazione della congiunzione della fede con la giustizia richiede una riflessione approfondita sulla situazione della fede in Polonia.

E' necessaria inoltre la scoperta del povero. Non è più la nazione che deve costituire il punto centrale della congiun­zione, ma l'uomo semplice colpito dalle conseguenze delle numerose crisi. Al comunismo è quasi riuscito di cancellare il povero dalla consapevolezza della chiesa e di sostituirlo con l'uomo in quanto membro di una collettività.

L'atteggiamento di opposizione praticato finora è nella situazione attuale controproducente. L'atteggiamento costrut­tivo deve però guardarsi bene dal pericolo di ridurre la fede al ruolo di una sovrastruttura ideologica di un nuovo ordine socio-politico. Si deve evitare l'integrismo in qualsiasi forma.

La testimonianza credibile della fede richiede oggi che si sposti l'accento da una solidarietà verbale e da quella pura­mente assistenziale verso la partecipazione all'esperien­za del povero.

Per finire, ancora una breve riflessione. La chiesa con la buona novella non sta al di fuori della società polacca. Essa è coinvolta nelle stesse situazioni che la società in cui essa svolge la sua missione. Ne segue che gli uomini della chiesa di tutti i gradi devono lasciarsi evangelizzare per deporre la vecchia mentalità e diventare liberi per una nuova semina.



     [1] Argumenty 7, 1986.

     [2] In russo *uskorjenie+. Con questo concetto assai ambiguo ancor oggi si caratterizza la *perestrojka+.

     [3] In: Listy pasterskie Episkopatu Polski (1945-1974) [Lettere pastorali dell'Episcopato polacco], Éd. du Dialogue, Paris 1975, p. 203-208.

     [4] Ibidem p. 296-313.