Adam Żak, S.J., La situazione dell'uomo nell'Europa dell'Est, w: La Civilta Cattolica 1992 II 582-588


    

In questa nota tenterò di continuare[1] la lettura della situazione nell'Europa Orientale avendo davanti agli occhi il fatto che le chiese in questa regione stanno facendo delle scelte apostoliche strategiche in cui devono tener ugualmente conto degli orienta­menti apostolici della Chiesa universale e della situazione dell'uomo dalle proprie parti.

La comprensione delle speranze e delle angosce della gente è resa più difficile a causa della lunga esperienza della censura, dell'auto­censura e della propaganda strumentalizzante che hanno deformato la loro percezione della realtà. Chi tenta di comprendere tempi e situazioni in cui vive, deve necessaria­mente tener conto del fatto che egli stesso fa parte del processo che cerca di comprendere e descrivere. La realtà poi che tentiamo di comprendere non è ferma ma evolve continuamente in maniera molto rapida. Da qui la consapevolezza del carattere incompleto e provvisorio anche di queste analisi.


            Paure dei credenti

Nella nota precedente ho parlato della doppia diffiden­za che a causa della forzata separazione è sorta tra i cristiani dell' O­vest e dell'Est. Il risultato di questa diffidenza è paura di contatti. Non sono soltanto i semplici fedeli che comprensi­bilmente hanno paura di qualcosa che non conoscono. Ma soprattut­to hanno paura  sacerdoti e vescovi che i temono che i credenti dell'Ovest diano "cattivo esempio" a quelli dell'Est. Secondo me è con questo timore che si spiega scarsa presenza della Chiesa nelle iniziative di scambio tra la gioventù europea. Preti e vescovi hanno paura che il loro gregge si indebolisca nella fede che venga corrotto da certe idee. Oltre alle preoccupazioni giustifi­cate vi scorgo anche una specie di timore clericale davanti all'aumento della consapevo­lezza dei laici che all'Ovest sono generalmente più consapevoli del loro ruolo nella Chiesa. L'ultimo sinodo ha sicuramente notato queste paure di contatto perché la dichiara­zione finale insiste sulla cooperazio­ne e sullo scambio dei doni tra le chiese (n. 6). Anche durante il Congresso dei teologi dell'Europa centro-orientale (Lublino, 11-15 agosto 91) - di cui oltre tutto in Occidente non si sapeva e finora non si sa quasi nulla - si sono fatte sentire queste paure di contatto. Tant'è vero che il vescovo Nossol nel tirare le somme del Congresso incoraggiava a non avere paura del impatto tra le nostre forme di cultura e di esistenza cristiana  e quelle del secolarismo occidentale con i suoi risultati distruttivi. Non abbiamo bisogno di sperimentarlo - diceva mons. Nossol - per poi superarlo rischiando di subire la sua forza distruttiva. La Chiesa in Occidente l'ha fatto da tempo *al nostro posto+ anche per noi (...). Noi stessi - continuava mons. Nossol - dobbiamo ora trovare l'umiltà di approfittare creativa­mente dall'esperi­en­za di questi conflitti avuti nell'ambito dell'universalismo cristiano in un certo senso anche per noi...[2] Non credo che si riesca ad evitare lo scontro con il secolarismo, ma approfittando creativamente dalle esperienze occidentali penso si possa riuscire ad evitare di fare molti errori e tensioni che hanno indebolito notevolmente la Chiesa.

La paura è cattiva consigliera nel discernimento di priorità apostoliche. Essa infatti minaccia la fede di chi deve discernere e facilmente conduce alla ideologizzazione di certe sue espressi­oni come p. es. dottrine per coprire le proprie incapacità di porsi di fronte alla realtà con la libertà dei figli di Dio.

C'è da menzionare un'altro genere di timore diffuso a quanto pare tra i credenti di alcuni dei paesi. Molti non sono ancora del tutto convinti dell'irre­versibi­lità della caduta del comunismo e temono che i comunisti possano ancora ritornare al potere. La paura di questo genere qualora esistesse in coloro che sono chiamati al discernimento apostolico paralizzerà lo slancio necessario per rispondere adeguatamente alle sfide.

La paura conduce facilmente a false e pusillanime decisioni, ed a chiusure dottrinali che possono far sorgere uno spirito tradizionalista tanto nocivo all'unità della Chiesa ed al suo dialogo con il mondo. Tutto ciò può far perdere alle chiese in Europa centro-orientale quel capitale di credibi­lità di cui esse godono ancora nelle società, e farle isolare culturalmente con la conseguente perdita di un laicato colto e generoso.

 

Ambiguità delle aspirazioni dei popoli

Bisogna rendersi conto che alla base delle spinte riforma­trici, delle critiche e delle scontentezze presenti nella società non si trovano soltanto generosi motivi ideali. Così ad es. alla base degli atteggiamenti rivendicati­vi presenti nella società non si trova soltanto la sete di giustizia, ma anche  - e forse soprattutto - il desiderio di consumi ad un livello più elevato. La situazione attuale non si sviluppa affatto sotto la spinta di un desiderio ideale d'instaurare la giustizia e un sistema che rispetti i diritti dell'uomo. Ciò che balza agli occhi sono le difese di interessi particolari a scapito del bene comune, è il mal nascosto desiderio di potere, è anche una forte attrattività esercitata dal benessere occidentale che viene vissuta in maniera contraddittoria con complesso di inferiorità per cui trova successo p. es. la propaganda proabortiva e la pornografia.

I valori fondamentali che hanno ispirato le pacifiche rivoluzioni nei paesi dell'Est sono minacciate dal consumismo. Più con esso che con una qualche riedizione ideologica del comunismo dovrà misurarsi la nuova evangelizzazione in questi paesi. Non si può costruire il futuro dei paesi postcomunisti o il futuro dell'Europa sul commercio, cioè sulla produzione e sul consumo, o in altri termini ancora sul primato dell'avere sull'essere. Occorre suscitare e sostenere un autentico spirito di solidarie­tà. Il più delle volte gli interessi economici sono contradditto­ri tra di loro. Essi non possono essere humus adatto per la crescita dello spirito di solidarietà. Inoltre la società commercializzata tende a far commercio con tutto e rende insensi­bili ai valori umani ed alla solidarietà[3]. La società fondata sul commercio in cui la gratificazione psicologica diventa spesso l'ultimo criterio di scelta e la libertà viene confusa con il compromesso con la triplice concupiscenza degli occhi, della carne e del dominio perde la sua anima. D'altro lato i valori come solidarietà non possono venir imposti. Basti ricordare amicizia e fratellanza tra i popoli nell'ambito degli ex stati socialisti per farsi passare la tentazione di un autoritarismo nel proporre i valori umani alla gente. Il commercio non potrà sostituire i valori umani. Per il trionfo del commercio che osserviamo, la gente paga un alto prezzo in termini di umanità. Il commercio abbandonato a se stesso fa sorgere il pericolo dello schiacciamento del più debole, quello della dimenticanza di chi perde, quello dell'esaltazione dei soldi e dell'applauso riservato soltanto ai vincitori.[4] Il commercio fa vedere nell'altro piuttosto un concorrente da eliminare e un cliente da conquistare.


Il discernimento apostolico deve tener conto di questi pericoli reali perché l'evangelizzazione non diventi o una proposta angelicamente surreale, disincar­na­ta, rivolta a pochi eletti o una proposta quasi estetica per quelli che non hanno altre preoccupazioni. La società fondata sul primato del commercio che miete le sue vittime tra la stessa gente già vittima del sistema comunista ha bisogno di una voce profetica­mente libera, sostenuta da una testimonianza comune di vita fondata sui valori del Vangelo. Diventa sempre più chiaro che nessuna autorità formale o rivendicata sulla base di meriti storici o su quella delle prerogative teologiche, riesca ormai a far convincere la gente della necessità di limitare la propria autonomia. Le scelte apostoliche dovrebbero dunque mirare alla costru­zione e al rafforzamento di un'autorità fondata sui valori autentica­mente vissuti. Le chiese dovrebbero perciò guardarsi bene dai pericoli di burocratizzazione, dal difendere e predicare più le istituzioni che Dio. Facendo la pianificazione e rico­struendo le istituzioni si deve ricordare che l'autorità di una istituzione non può sostituirsi all'autorità personale di chi l'anima

 

Delusione del benessere che tarda

Le difficoltà materiali nelle società postcomuniste hanno assunto le dimensioni molto gravi. La speranza di poter raggiun­gere velocemente un benessere paragonabile a quello in Occidente o per lo meno di percepire un miglioramento sensibile delle condizioni materiali che c'era agli inizi delle rivoluzioni pacifiche ha fatto posto ad una delusione. La si può esprimere con una buona formula coniata dallo scrittore polacco Andrzej Szczypior­ski: Il mercato è pieno di tentazioni ma la tasca è vuota[5]. Questa delusione è tanto più grave perché alla gente manca la comprensi­one della complessità dell'economia. In questa situazio­ne di delusione e di incomprensione si trova sempre qualcuno che griderà *al ladro!+ indicando un presunto aprofitta­tore e distoglien­do l'attenzi­one p. es. dalla necessità di risanare il lavoro stesso. Il guaio è che molto spesso come quel presunto *ladro+ viene indicato *lo straniero+. Ciò fa indebolire le motivazioni di sacrificarsi per il bene comune e fomenta inutili egoismi nazionali che rendono ulteriormente difficile un necessario incontro tra i popoli. Se in questo contesto parlo di egoismi nazionali non ho in mente nazionalismi propriamente detti ma quell'atteggiamento che a ciascuno dei bisognosi fa pensare solo ai propri bisogni e nell'altro popolo fa vedere un concor­ren­te. Così s'indebolisce la ricerca delle adeguate forme di solidarietà tra i bisognosi e cresce il disinteresse per la sorte dei popoli più deboli ancora. Dobbiamo vedere criticamente come ad es. Ceco-Slovacchia, Polonia e Ungheria fanno tra di loro un club di paesi che accontentatisi del fatto di essere ormai sulla via d'associa­zione alla Comunità Europea non spendono una parola in favore dei paesi più deboli come Bulgaria o Romania. La sorte dei popoli più deboli ancora è poco presente nella consapevolezza della gente. Lo sguardo della maggioranza è così fisso sull'Occi­dente, vincitore nella rivalizzazione dei sistemi, che i popoli postcomunisti acritica­mente entrano nelle strutture d'ingiustizia mondiali sostenute dagli egoismi dell'Occidente verso il Sud che vive i problemi spesso più drammatici di quelli dell'Europa Orientale. Essendo la Chiesa un corpo internazio­nale presente su tutti i continenti, essa dovrebbe far sensibilizza­re i popoli tra cui vive e agisce alle dimensioni planetarie dei problemi d`ingi­ustizia. Nell 'Europa Orientale la Chiesa è la più naturale mediatrice dell'universalismo. L'egoismo delle singole nazioni non può essere sostitui­to da un egoismo di un gruppo di popoli. Si consideri anche il fatto che i problemi menzionati qui si sommano con quelli segnalati sopra, rendendo ancor più urgente una rispo­sta apostolica.


Perciò nel fare il discernimento apostolico è necessario scegliere o appoggiare quelle iniziative che fanno avvicinare i popoli, che riempiono di autentici valori gli spazi d'incontro aperti con l'abolimento della cortina di ferro, che richiedono una collaborazione internazionale, interconfessio­nale o interre­ligiosa. Non si tratta soltanto di iniziative di studio ma soprattutto di quelle che fanno continuare ed approfondire gli incontri tra le giovani generazioni.

 

Delusione della libertà riconquistata

Anche la tanto sognata libertà e democrazia crea più problemi di quanti ne risolve. La maggiore libertà di viaggiare o l'abolimento della censura ha certamente facilitato la vita a diverse categorie di persone. Credo però che questa stessa libertà ha complicato la vita a interi strati della società e alla Chiesa stessa. L'operaio minacciato dalla disoccupazione o il contadino che non sa a chi vendere il suo prodotto non si sentono più liberi, anzi si sentono minacciati, se non addirittu­ra vittime dei cambiamen­ti. La libertà nelle società postcomuni­ste si esprime nella fuga dalla comunità, dall'impegno per il bene comune verso individualismo o egoismi di gruppi d'interessi. Anche la professio­ne di fede per i credenti si è complicata enormemente. Un cattolico russo, professore di filosofia Julij Shrajder, ha espresso questa complicazione dicendo in una recente intervista: Quando eravamo nelle catacombe, si trattava di una cosa sola: non lasciarsi impaurire, rimanere cattolico. Quando sei andato ad una messa clandestina oppure ti sei recato nei paesi baltici per ricevere i sacramenti potevi pensare che hai fatto i tuoi doveri come cattolico, perché non hai rinnegato la fede e nonostante le persecuzioni sei rimasto cattolico. Ma ora bisogna avere la responsabilità per la Chiesa, per le sorti di questa Chiesa. (...) Ci sono state levate le limitazioni, è cessata l'oppressione. Sappiamo che possiamo fare qualcosa, che molto dipende da noi. Ora non possiamo più pensare di ricevere la libertà da qualcuno. Dobbiamo costruire questa libertà in noi stessi, dobbiamo saper diventare uomini liberi.[6] La scena politica con tanti partiti non favorisce certo l'eserci­zio della libertà non soltanto ai semplici ma anche agli accademici. Lo stesso prof. Shrajder continua: Purtroppo la gente non è preparata per fare queste scelte, per questa libertà. Dico sinceramente che anch'io non sono preparato a ciò. Non sempre sono sicuro come mettere a frutto la libertà riconquistata. Oltre tutto una volta la situazione era molto più chiara: bastava che eri un'avversario del comunismo, che lo combattevi e già eri uno dei suoi. Ma ora questo non basta. Ora bisogna sapere, che cosa vuoi in cambio, dove tendi, qual'è il tuo programma positivo.[7] C'è inoltre molta gente in alcuni paesi postcomunisti che non sa cosa fare della libertà religiosa, come mettersi di fronte alle chiese cristiane. A molti manca ogni riferimento religioso o cristiano. La multiforme proposta religiosa li disorienta.

In altre parole la realtà in ogni settore si presenta più complessa e mette a dura prova la capacità di orientarsi in essa. Da qui la tentazio­ne di ricorrere alle soluzioni semplicistiche, perfino autoritarie. Da qui la tentazione di trincerarsi dietro le presunte certezze, dietro gli schemi bianco-neri. Il disorien­tamento della libertà e la conseguente difficoltà di usarla bene è una delle sfide maggiori all'azione della Chiesa nei paesi postcomunisti di cui ogni discernimento di priorità apostoliche deve tener conto. Lo stesso discernimento apostolico sarà come un esame del buon uso della libertà nella sua doppia dimensione di libertà da qualcosa e di libertà per qualcosa.

Anche il recente Sinodo speciale per l'Europa indica la difficoltà di usare bene la libertà come la principale eredità del comunismo. Nella Dichiarazione del Sinodo al n. 1 leggiamo: Il comunismo dunque come sistema è finito in Europa, ma ha lasciato dietro di se ferite e una particolare eredità nei cuori degli uomini e in seno alle rinascenti società. La gente ha difficoltà nel fare uso della libertà e della democrazia; bisogna rinnovare dalle fondamenta i valori morali distrutti.


Il discernimento delle priorità apostoliche dovrà tenere conto del mutato compito della Chiesa che secondo le parole del Santo Padre pronunciate davanti ai vescovi polacchi il 9 giugno 1991 nella precedente costellazione difendeva l'uomo dal sistema - o meglio dicendo: creava uno spazio nel quale l'uomo e la nazione potevano difendere i propri diritti invece ora deve far trovare all'uomo uno spazio in cui questi possa difendersi da se stesso cioè dal cattivo uso della sua libertà e dal rischio di sciupare l'occasione storica per la nazione. Ciò che era buono nelle precedenti condizioni facilmente potrà essere interpre­tato ora come paternalismo di stampo clericale. Il mutamento del ruolo della Chiesa comporta per chi deve discernere le priorità apostoliche un forte cambiamen­to di prospettiva che non sarà più principalmente quella di una coraggiosa istituzione che dà voce a chi non ce l'ha, ma quella di una comunità rispettosa e generosa pronta ad accogliere ciascuno per offrirgli uno spazio in cui possa fare l'esperienza autentica della libertà.

 

Ulteriori implicazioni per il discernimento delle priorità apostoliche

Le condizioni in cui si trova l'uomo nelle società postcomu­niste fanno presagire l'enorme difficoltà del discernimento apostolico. Si pensi soltanto al fatto che chi è chiamato a discernere e poi mettere in pratica le scelte operate non è affatto libero dai condizionamenti descritti. Perciò il discerni­mento suppone due cose: da un lato una disponibilità alla conversione del cuore e dall'altro lato una capacità di servirsi criticamente delle analisi fatte da angolature diverse.

La situazione dell'uomo abbozzata qua sopra non sembra essere una situazione passeggera. Anche se è difficile dire quanto tempo dureranno certi fenomeni negativi, non è irragione­vole pensare che questo periodo di transizione può durare almeno fino a quando non migliorerà stabilmente la situazione economica. La miseria è cattiva consigliera. Pertanto le scelte apostoliche non possono essere occasionali o stagionali ma devono essere necessariamente strategiche e capaci di dar vita ad un processo di rinnovamento sufficientemen­te profondo per produrre i cambiamenti strutturali nella forma­zio­ne del clero, nella mobilità e disponibilità di persone, e nel modo di rendere presente la Buona Novella di salvezza in mezzo alla società. Sarà vano ogni tentativo di rinnovare la presenza pastorale della Chiesa, di dinamiz­zare la formazione se tutto ciò non sarà inserito in un processo di discerni­mento apostolico più vasto che dia una consapevo­lezza e un orientamento al rinnovamento stesso. Il processo di discernimento comporta un'attenzione ai fermenti e alle ricerche presenti già nelle Chiese attraverso per esempio i Movimenti ecclesiali. Un fattore non indifferente del riorienta­mento apostlico delle Chiese dovrebbero diventare gli Ordini religiosi. Questi dovrebbero riscoprire le proprie possibilità e attingendo alle esperienze dei loro confratelli in altre parti del mondo contribuire a rafforzare il servizio della riflessione filosofico-teologica e dell'analisi sociale, a ricostruire la ricca tradizione dell'apostolato sociale, a riprendere il ruolo attivo nel­la formazio­ne di un'élite cristiana sia attraverso la promozio­ne di movimenti di spiritualità sia attraverso il ministero educativo. Le chiese dell'Europa Orientale fino a poco tempo fa testimoni contro l'oppressione di un'ideologia totalita­ria dovrebbero diventare testimoni per il Vangelo, capace di operare il rinnovamento del mondo.



     [1] Cfr una mia precedente nota Fede e Giustizia. Le sfide ai cristiani dell'Europa Orientale, Civ. Catt. 1991 IV 580-584.

     [2] Citazione riportata da A. Boniecki, Nie po to, by wraca- do tego, co było, Tygodnik Powszechny, 35/1991, s. 1.

     [3] Pietro Giordano Cabra (FN), Vita religiosa e nuova Europa, dattilo­scrit­to.

     [4] Ivi.

     [5] Andrzej Szczypiorski, Ile zostało z komunizmu? in: Polityka n. 50, 14 XII 1991, s. 11.

     [6] Pierwsi chrześcijanie. Con il prof. di filosofia Julij Szrajder, preside Club Cattolico "Dialogo Spirituale" a Mosca, parla Krzysztof Renik, in: Przegląd Powszechny 2/92, p. 206-207.

     [7] Ivi p. 207.